mercoledì 6 novembre 2019

SCHIEVENIN....dietro l'angolo...

Quest'estate, con il solito infaticabile e generoso Roberto, ci siamo dati da fare per risanare quella anonima e dimenticata parete strapiombante nascosta dietro l'angolo del Settore Gastronomico. Si tratta di un sito inaspettato, uno squarcio giallo della vecchia cava,  l'alter ego del settore, vista la caratteristica della falesia adatta più che altro ai principianti, con vie su rocce grige articolate e maniglioni da capogiro. Qui le linee fanno venire il torcicollo a chi fa sicuro da sotto, sono brevi ma dure, adatte sopratutto agli amanti della "pompa a tutta". Per chi non conosce questo piccolo gioiellino, dove è possibile arrampicare isolati, immersi nel silenzio e lontani dai raduni tanto in voga sui settori adiacenti alla strada, basta percorrere per una cinquantina di metri il sentiero che conduce alle "Placche alte" e uscire a destra in direzione dell'evidente muro giallo.



 
Da sinistra a destra:
Senza nome; 6b.  Modificato la partenza, singolo iniziale poi una passeggiata.
Sebastiano; 7a+.  Nuova via, boulder e ancora boulder, dedicata al nuovo arrivato in casa Lucio.
L'esplosione è imminente; 7c+/8a.  Enigma in partenza poi tanta pompa.
Movimento bipede; 7c+/8a.  Simile alla prec.,anche qua mettiamo l'8a per attirare qualcuno...
Watta infessurata; 7a. Una volta...si diceva VII+... me par dura a mi! Sabbia da ripulire.
Vai Laura; 6c. Ci siamo permessi di fare due scavi per dargli una direttiva sensata.
Classica; IV+. Fa parte del settore facile sul versante ovest. qualche chiodo e spuntone di sosta.
Buona arrampicata.........







sabato 19 ottobre 2019

Schievenin Placche Alte: "Onde che vui vae"

La realizzazione di una via lavorata può dare grandi soddisfazioni, sopratutto perché si raggiunge il limite delle proprie capacità mentali, fisiche e tecniche, anche se in realtà è di per se un'attività assurda, deleteria per la mente, specialmente quando non si riesce a venirne a capo in poco tempo. La giornata storta dove ogni movimento è impacciato e le dita si lamentano anche sulle tacche più grandi, una presa dimenticata sull'ultimo passaggio dopo aver domato un enigma di rugosità, una goccia d'appoggio che salta quando ormai sei fuori, i recuperi che la vecchiaia non ti permette più di saper gestire, la giornata umida, l'abbaglio del sole, il freddo, il caldo, insomma un calvario di situazioni che ti porta in uno stato di apatia in cui non stai godendo e ti chiedi se ha senso arrampicare così.
Penso che la vera arrampicata libera, e forse l'ho sempre pensato, sia muoversi nella roccia in armonia, muovendosi sciolti, con eleganza e senza patemi, cercando sì, le grandi difficoltà, ma riuscendo a domarle con un margine ampio che ti dia l'illusione di poterlo fare anche da slegato. La scalata "a vista", a mio parere, è il più bel modo di salire, è quella che rispecchia realmente le vere capacità di superare una difficoltà e il più delle volte mi gratifica di più un via difficile fatta con margine al primo giro, che un tiro straduro dopo molti su e giù. Mi capita spesso di vedere i nuovi boce seguire una strada a senso unico, riscaldandosi, arrampicando da cani su un 6a, per poi passare subito su  gradi alti, dimenticandosi ancor più cosa voglia dire muoversi sulla roccia e cercando disperatamente di realizzare solo un numero elevato scritto a fianco di un nome. 
Comunque sia, per  la bramosia di fare anch'io un gradetto tosto ogni tanto, con la corda dall'alto la primavera scorsa ho sporadicamente provato i passaggi di una nuova linea che sale fra due meraviglie come "Yoska" e "Il signore del male" sulle Placche Alte a Schievenin.  Nonostante un primo disagio  dettato dalla vicinanza delle due, a metà settembre l'ho attrezzata e quindi poi liberata.
"Onde che vui vae", sale usando delle prese in comune con le altre, ma rimanendo comunque indipendente grazie ad una traccia di spit che la obbligano ad una sequenza personale. Già all'inizio da filo da torcere con dei movimenti ampi che conducono ad un boulder su un monodito per poi concludere su delle tacchette ridicole e a dei movimenti di piede molto aleatori. La bellezza e la varietà dei passaggi, secondo me, la elevano a  una delle meritevoli delle Placche Alte. Il nome della via è già scritto.... mentre per il numero che sarà più o meno come le altre....aspettiamo i boce che avranno voglia di consumarsi le unghie. Un grazie a Robi e Gae...









sabato 24 agosto 2019

MULAZ: Magic Line per Sofia





Il primo tiro è una mazzata per gli avambracci: si sale una breve fessura sbuffando come una motrice a vapore, fino ad agguantare una maniglia sopra il tetto. L'uscita è tutta un programma, bisogna allungarsi tenendo un verticale svaso fino a prendere un' "orecchietta", che si tiene a fatica con le mani ancora fredde , alzare i piedi in aderenza e afferrare un buco che conduce sulla bella placca lavorata che finalmente permette di tirare il fiato.
La seconda lunghezza è una passeggiata, conduce sotto allo splendido muro nero del terzo tiro, che si supera obliquando a sinistra sotto uno strapiombo, su roccia stratosferica con dei buconi che lasciano respirare e godere l'arrampicata.
Il quarto tiro è il tratto chiave della salita, ci si addentra nello strapiombo con un breve traverso, si passano tre chiodi, che uniti dovrebbero salvare la pelle, prima di superare la pancia,  si deve tenere un bel verticale di sinistro e allungarsi su uno "svasetto" dove bisogna velocemente rinviare altri due chiodini da brivido, quindi si opposiziona dall'altra parte, avendo l'avvertenza di anticipare con i piedi, per arrivare belli lunghi su un "mammellone" e poi ad una buona presa. A questo punto occorre  recuperare bene prima di una placca con un passo veramente obbligatorio: ci sono due chiodi buoni all'inizio e due precari al termine del passaggio. Bidito di destro, "rugosità" di sinistro e lancio su tacca da due centimetri: attenti al volo!!
Il diedro successivo conduce sul più bel tiro della via, un paio di friends sono sufficienti per arrivare in sosta.
Poi finalmente la manna dal cielo con un tiro che si lascia arrampicare nonostante le apparenze: breve obliquo per entrare nella placca grigia, un pancia su tacche minuscole, uno sbilanciamento su bidito, buconi, rovescioni, e spallata finale, il tutto condito da protezioni sicure....











lunedì 15 luglio 2019

TERRA DEL VELENO: PATRIMONIO DEL UNESCO



Tanto per non parlare delle solite montagne... dell'aria pulita, dei paesaggi lindi e incontaminati, dell'illusione che tutto va bene che bisogna divertirsi e essere positivi... Qui, vicino al paradiso, le cose hanno raggiunto una dimensione in cui il ridicolo prevarica ogni ragione. Interi territori sono stati sbranati dalla coltivazione intensiva: i vigneti si abbarbicano fin dentro le camere da letto e i bambini giocano sotto grovigli di grappoli con il benestare dell'ignoranza assoluta.. Collinette che un tempo vivevano in equilibro, alternando i filari, a boschetti,  prati verdi e coltivazioni di altro tipo, sono diventate un orrendo ammasso di veleno. Qualcuno ci trova anche della poesia e canta lodi alla geometria dell'assurdo. Chi non coltiva e non vive una realtà narcotizzata dal portafoglio gonfiato fino all'eccesso, sopporta la realtà di un odore intenso, chimico, degli occhi che lacrimano, delle narici che prudono e della gola che brucia. Con la canicola diventano carcerati,  sbarrano le finestre e soffrono un'afa che rimane comunque maleodorante. Il sentore di chi si ammala é nell'aria, ma tutto viene banalizzato, nascosto da un'omertà che nulla ha da invidiare alla mafia più radicale. Fra qualche anno, come in altre storie della bella Italia, ne vedremmo delle belle: ci saranno i morti!!
PATRIMONIO DEL UNESCO: 😂😅





giovedì 16 maggio 2019

Un bocia forte che mi piace...

Jacopo Larcher è uno dei pochi "bocie" a piacermi, uno dei pochi "big" che ragiona con la sua testa e non si fa condizionare dagli sponsor. Recentemente ha aperto e liberato una via trad nella falesia a Caldarese. La via dedicata a Peter Mair, guida alpina deceduto nel 2016, ha richiesto 6 anni di tentativi. Una pazienza incredibile sostenuta dalla volontà di realizzarla nel modo più pulito. Di difficoltà non ne parla... ma dice che è la sequenza più dura che abbia mai fatto.

Che  bisogno c'è di risanare, aggiungendo spit, le classiche aperte 100 anni fa? Che diritto abbiamo di cancellare e riscrivere la storia? Siamo già avvantaggiati visti i materiali di cui disponiamo.
Come detto, dovremmo utilizzarli per portare l'asticella più in alto, non per abbassarla.
Ovviamente non voglio fare di tutta l'erba un fascio, ma perché non cerchiamo di farci ispirare dai grandi del passato, per continuare a vivere un'arrampicata ricca di avventure?
Mi piacerebbe vedere più persone, specialmente i ragazzini, interessarsi all'arrampicata tradizionale, a qualcosa di più avventuroso... e meno alle classifiche; sentirli parlare delle "bastonate" che hanno preso su una via classica, piuttosto che dell'ultimo "rosso" che hanno chiuso in palestra. L'arrampicate ha mille sfaccettature e discipline; ognuno è libero di viverla come preferisce, ma è importante che non ci dimentichiamo le sue origini. Cerchiamo di far evolvere il nostro sport e non di modificarne l'identità.( Jacopo Larcher )




martedì 23 aprile 2019

SCHIEVENIN: LA BASTIONATA SUD


Immagino che i primi arrampicatori giunti in valle alla fine degli anni cinquanta, siano rimasti immediatamente rapiti dalla mole imponente della "Bastionata Sud".   Alcuni di questi esploratori vennero sotto le pareti in groppa ad una lambretta e qualcuno ancora giovanissimo ed economicamente allo sbando, come quasi tutti in quel periodo, con una vecchia bicicletta acquistata di terza mano. Fra questi mi piace ricordare Ivano Cadorin, Italo Zandonella e Vittorio Lotto. Nella valle naturalmente regnava ancora la vita "primordiale": le strade erano miseri sterrati e la pastorizia si impadroniva di ogni pendio, tanto che le rocce apparivano ancora più maestose non essendo lambite da una fitta boscaglia come ai giorni nostri. I valligiani erano per lo più contadini e boscaioli, con i volti fieri e seri, segnati dalla dura lotta per la sopravvivenza, e il loro carattere introverso si imbestialiva  quando in valle si presentavano degli stranieri giunti dalla piana, sopratutto se arrivavano armati di corde e chiodi. L'unico modo per i malcapitati di calpestare la proprietà privata alla base delle rocce, era quella di portare un bottiglione di vino nero da donare all'iracondo per rabbonire il suo istinto di aggredirli con la falce.
 La Bastionata Sud è una lunga fascia rocciosa di calcare compatto, alta una cinquantina di metri e caratterizzata da numerosi e ben definiti pilastri che verso l'alto si frastagliano formando alcune suggestive torrette. Sulla cima l'erosione
ha scolpito il calcare creando delle scanalature e degli aguzzi incredibili, che ne fanno uno dei siti più meravigliosi della valle. Nonostante le sue rocce possano apparire facilmente addomesticabili, le uniche vie aperte salendo dal basso con mezzi tradizionali furono la via "della cresta sud", la via "diedro grigio", la via "diedro giallo e quella che può essere considerata la più bella via di quinto della valle: "lo spigolo della prua".
Vie che rimasero per quasi un ventennio le uniche presenti sulla parete fino all'avvento dello spit.
Poi un susseguirsi di aperture  ha invaso  placche e strapiombi mitragliando con luccicanti placchette ogni metro e haimè anche le vie dei primi esploratori. A mio parere non sarebbe stato male lasciarle, come molte altre della valle, alle proprie origini storiche,  magari aggiungendo qualche buon chiodo, e  attrezzando solo la sosta con catenone e due fix in acciaio.
Sulla parete sono presenti alcune vie a più tiri e una cinquantina di mono tiri, uno più bello dell'altro, senza contare il versante nord, che è un mondo a parte. La parete solitamente è presa d'assalto in primavera solo da principianti o da vecchi nostalgici, che si incolonnano sulle numerose vie di quinto grado, mentre una buona quantità di splendide  salite "over 6a" vengono a torto snobbate e dimenticate dai "bighetti" che se non trovano numerosi "sette bi ci", uno in fila all'altro su cui arrancare e fare numeri da circo, non si muovono nemmeno da casa, dimenticandosi quanto piacevole sia arrampicare leggeri, senza patemi, su roccia ben ammanigliata e in un ambiente da favola. Alcune vie che comunque consiglio, a qualcuno che mi chiede ridendo, cosa ci vado a fare su di là, sono: "Spol Pot"6c, "Vittima del nordest"6b+, "Nero e Bianco" 6c, "Un vecchio e un bambino" 6c, "Mastro Marino"7b, "Raul Bovis" 6b, "Chi osa vince"6b+, "Elena"7a, "Spit bianchi" 6c, "Tettomania" 7a+.   Io sinceramente torno a casa soddisfatto e bello stanco, perciò: Buona arrampicata a tutti!!








lunedì 1 aprile 2019

Antelao, Pian del Lenzuol, I ricordi più belli...

 Le montagne che lasciano un segno indelebile sono quelle in cui si vive un'avventura dove l'ambiente sconosciuto e selvaggio impone sul gioco il controllo della natura. Sono esperienze che si vivono su cime e pareti delle nostre Dolomiti nascoste dietro l'angolo, che si intuiscono e si intravedono durante gli spostamenti in auto, ma che si difendono, dalle orde dell'avventura preconfezionata, grazie ai lunghi e impervi avvicinamenti , alla mancanza di strutture per pernottare e alla maestosità di pareti dove pochi uomini posano le mani. In questi luoghi, l'alpinismo ritrova la sua magia, risvegliando i nostri istinti primordiali e facendo dell'arte d'arrangiarsi la nostra più fidata compagna. L'aspetto tecnico, i grandi numeri, l'abbigliamento figo, passano in secondo piano, lasciando spazio a zaini pesanti e ad un futuro pieno d'incognite.
L'arrancare su esili tracce diventa un azzardo, è facile sbagliare e dover ritornare imprecando sui propri passi, ma fa parte del gioco e la fatica può essere  ripagata da un camoscio che poco più avanti ci allieta con i suoi balzi imperiosi. Anche dormire all'addiaccio gratifica la vita, specialmente se sullo sfondo di un falò si proietta l'immagine di un tramonto da fiaba.















domenica 10 marzo 2019

Sasso della Croce: fra storia e leggenda...

Una delle peculiarità della valle di Schievenin, oltre all'ambiente isolato e fuori dal frastuono delle strade trafficate, è la molteplicità di settori con esposizioni su tutti i meridiani. Anche la tipologia di arrampicata varia a seconda della parete, prevalgono i singoli un po' dappertutto ma le sequenze non sono mai monotematiche e un po' di continuità la si trova anche in valle . Uno dei settori che si distingue e sa essere davvero piacevole in questo periodo è il Sasso della Croce: una caratteristica pala rocciosa con una croce in cima, che ha fatto la storia di Schievenin ed è esposta per parecchie ore al sole primaverile. L'arrampicata risulta  inusuale rispetto alle altre pareti, le vie sono brevi, su placca verticale con buchetti o su muri gialli con micro tacche e non mancano comunque alcuni strapiombi molto atletici. Ce n'è per tutti: alcune vie di riscaldamento sull'estrema sinistra (5b 5c) ci invitano su "El condor pasa", un 6a+ con una sequenza da interpretare sulla parte centrale, che non concede attenuanti. Poco a sinistra "Il bruco" è la via più bella, parte con una opposizione molto atletica per condurci su una placca dove bisogna ragionare parecchio per smascherare i falsi buchetti prima di riuscire a mettere insieme una sequenza laboriosa. Poi c'è "Zebedus"con uscita atletica da un tetto, "Eta dreta" con una fessura invitante ma dalla personalità fasulla, "Parlami d'amore", una delle più recenti aperte, con una placca breve da fare trattenendo il respiro. Tutte vie con difficoltà 6b/c ma da non prendere sotto gamba e già sufficienti per completare la giornata. La danza sulle vie "over 6" comincia su "Fandango": partenza come il "Bruco", poi a sinistra sul niente.... una volta era 6c, poi l'abbiamo valutata 7a, su qualche altra falesia la darebbero forse 7b... Lo stesso vale per "Tacos rellenos", una via che ho recentemente riprovato trovandola più difficile di quel che ricordavo, e che forse merita più allori del 7b/c che avevamo proposto. Un discorso a parte va invece per "Passaggio all'infinito", la via liberata da Alberto Campanile all'inizio degli anni novanta, dove non mi risultano ripetizioni ed io ci ho messo le mani timidamente solo un paio di volte. I movimenti invitano ad agguantare la fessura della via "Eta dreta", e allora l'impossibile diventa durissimo ma fattibile, ma non è questo che merita la via. Dalle testimonianze Campanile l'ha fatta stando sempre in placca, un grande. Forse, per togliere ogni dubbio e dare una direttiva più invitante ed obbligatoria, bisognerebbe spostare gli spit un po'  più a sinistra, ma vi assicuro che su quello specchio senza aloni si va ben oltre l'8a...Buona arrampicata a tutti..




giovedì 14 febbraio 2019

Colombane "Mago Manolo": un "bocin" per la prima ripetizione

Prima libera:
Mago Manolo è una via che ho aperto nel 2016 sulle Colombane e che mi ha fatto particolarmente penare per riuscire a chiuderla. Al quarto giorno di tentativi, dopo aver compreso, in poco tempo, l'enigma di movimenti che la via oppone, riesco a raggiungere con convinzione l'ultima minuscola tacca. Purtroppo la presa unta dalla giornata umida mi respinge, facendomi planare parecchi metri sotto all'ultimo rinvio. Da qui comincia un calvario che si potrae per tutta quella stagione e in parte per l'inverno successivo. La via, che ho voluto dedicare a quel "mostro sacro" che tutti conosciamo e che rispecchia il suo stile, sale direttamente la placca gialla, sopra la prima sosta della via "la forza del destino". La prima parte è tutto sommato facile e su buone prese, la parte centrale richiede forza, ma una volta metabolizzata, si lascia domare senza particolari patemi, mentre la sequenza  finale su tacche e appoggi svasi è sempre un dilemma, ci si muove su niente e diventa particolarmente problematica nelle giornate umide. Un problema sono anche i giorni troppo freddi, dove perdi sensibilità alle dita, o quando il sole è troppo luminoso e su quella roccia biancastra  non riesci a vedere gli appoggi. Poi c'è anche la giornata negativa, la vecchiaia che non ti permette di recuperare e provare la via per più di un paio di volte, il lavoro che ti stanca, la troppa neve etc..Insomma, un infinità di scuse, a cui si aggiunge per finire il fatidico blocco mentale che ti conduce nella più pesante apatia e quando arrivi sotto al tratto chiave, ti si annebbia la mente e non riesci più a focalizzare nemmeno le sequenze più ovvie. Poi un bel giorno, quando meno te l'aspetti, quando ormai non ci credi più, e dici: "ma si dai.. provo a fare un giro, ma so già che non è giornata", è la volta che ti riesce una danza perfetta senza sbavature, senza sforzo che quando tagli il traguardo sei talmente stupito che neppure esulti. Dura la vita del climber.
Prima ripetizione:
Da un paio d'anni si aggira timidamente a Schievenin un "bocin" dal viso dolce e il fisico esile che in sordina, dopo aver ripetuto numerose delle classiche dure, si sta dilettando a ripetere le "stradure" recenti sparse un po' per tutta la valle, risolvendole con grande passione e pochi tentativi. Stefano Pandolfo, non e proprio un bocia, ha 25 anni, ed è nipote d'arte. Il nonno, un certo Italo Zandonella Callegher rinomato alpinista comelicano,  con una notevole attività di esplorazione delle sue montagne, ed oltre, fino alla salita di numerose cime extraeuropee. Emigrato nella "piana" verso la fine degli anni cinquanta, è stato uno dei primi esploratori della valle, a lui si devono le prime salite di numerosi torrioni e la stesura della prima guida delle vie d'arrampicata. Come si dice, buon sangue non mente,  Stefano è riuscito in breve tempo a ripetere la via Mago Manolo e ne è rimasto entusiasta, descrivendola come una delle più belle della valle. Schievenin non smette mai di stupire, nei suoi anfratti ci sono ancora numerose perle nascoste e con un "bocin" così forte in circolazione ne vedremo sicuramente delle belle....