domenica 10 marzo 2019

Sasso della Croce: fra storia e leggenda...

Una delle peculiarità della valle di Schievenin, oltre all'ambiente isolato e fuori dal frastuono delle strade trafficate, è la molteplicità di settori con esposizioni su tutti i meridiani. Anche la tipologia di arrampicata varia a seconda della parete, prevalgono i singoli un po' dappertutto ma le sequenze non sono mai monotematiche e un po' di continuità la si trova anche in valle . Uno dei settori che si distingue e sa essere davvero piacevole in questo periodo è il Sasso della Croce: una caratteristica pala rocciosa con una croce in cima, che ha fatto la storia di Schievenin ed è esposta per parecchie ore al sole primaverile. L'arrampicata risulta  inusuale rispetto alle altre pareti, le vie sono brevi, su placca verticale con buchetti o su muri gialli con micro tacche e non mancano comunque alcuni strapiombi molto atletici. Ce n'è per tutti: alcune vie di riscaldamento sull'estrema sinistra (5b 5c) ci invitano su "El condor pasa", un 6a+ con una sequenza da interpretare sulla parte centrale, che non concede attenuanti. Poco a sinistra "Il bruco" è la via più bella, parte con una opposizione molto atletica per condurci su una placca dove bisogna ragionare parecchio per smascherare i falsi buchetti prima di riuscire a mettere insieme una sequenza laboriosa. Poi c'è "Zebedus"con uscita atletica da un tetto, "Eta dreta" con una fessura invitante ma dalla personalità fasulla, "Parlami d'amore", una delle più recenti aperte, con una placca breve da fare trattenendo il respiro. Tutte vie con difficoltà 6b/c ma da non prendere sotto gamba e già sufficienti per completare la giornata. La danza sulle vie "over 6" comincia su "Fandango": partenza come il "Bruco", poi a sinistra sul niente.... una volta era 6c, poi l'abbiamo valutata 7a, su qualche altra falesia la darebbero forse 7b... Lo stesso vale per "Tacos rellenos", una via che ho recentemente riprovato trovandola più difficile di quel che ricordavo, e che forse merita più allori del 7b/c che avevamo proposto. Un discorso a parte va invece per "Passaggio all'infinito", la via liberata da Alberto Campanile all'inizio degli anni novanta, dove non mi risultano ripetizioni ed io ci ho messo le mani timidamente solo un paio di volte. I movimenti invitano ad agguantare la fessura della via "Eta dreta", e allora l'impossibile diventa durissimo ma fattibile, ma non è questo che merita la via. Dalle testimonianze Campanile l'ha fatta stando sempre in placca, un grande. Forse, per togliere ogni dubbio e dare una direttiva più invitante ed obbligatoria, bisognerebbe spostare gli spit un po'  più a sinistra, ma vi assicuro che su quello specchio senza aloni si va ben oltre l'8a...Buona arrampicata a tutti..