martedì 23 aprile 2019

SCHIEVENIN: LA BASTIONATA SUD


Immagino che i primi arrampicatori giunti in valle alla fine degli anni cinquanta, siano rimasti immediatamente rapiti dalla mole imponente della "Bastionata Sud".   Alcuni di questi esploratori vennero sotto le pareti in groppa ad una lambretta e qualcuno ancora giovanissimo ed economicamente allo sbando, come quasi tutti in quel periodo, con una vecchia bicicletta acquistata di terza mano. Fra questi mi piace ricordare Ivano Cadorin, Italo Zandonella e Vittorio Lotto. Nella valle naturalmente regnava ancora la vita "primordiale": le strade erano miseri sterrati e la pastorizia si impadroniva di ogni pendio, tanto che le rocce apparivano ancora più maestose non essendo lambite da una fitta boscaglia come ai giorni nostri. I valligiani erano per lo più contadini e boscaioli, con i volti fieri e seri, segnati dalla dura lotta per la sopravvivenza, e il loro carattere introverso si imbestialiva  quando in valle si presentavano degli stranieri giunti dalla piana, sopratutto se arrivavano armati di corde e chiodi. L'unico modo per i malcapitati di calpestare la proprietà privata alla base delle rocce, era quella di portare un bottiglione di vino nero da donare all'iracondo per rabbonire il suo istinto di aggredirli con la falce.
 La Bastionata Sud è una lunga fascia rocciosa di calcare compatto, alta una cinquantina di metri e caratterizzata da numerosi e ben definiti pilastri che verso l'alto si frastagliano formando alcune suggestive torrette. Sulla cima l'erosione
ha scolpito il calcare creando delle scanalature e degli aguzzi incredibili, che ne fanno uno dei siti più meravigliosi della valle. Nonostante le sue rocce possano apparire facilmente addomesticabili, le uniche vie aperte salendo dal basso con mezzi tradizionali furono la via "della cresta sud", la via "diedro grigio", la via "diedro giallo e quella che può essere considerata la più bella via di quinto della valle: "lo spigolo della prua".
Vie che rimasero per quasi un ventennio le uniche presenti sulla parete fino all'avvento dello spit.
Poi un susseguirsi di aperture  ha invaso  placche e strapiombi mitragliando con luccicanti placchette ogni metro e haimè anche le vie dei primi esploratori. A mio parere non sarebbe stato male lasciarle, come molte altre della valle, alle proprie origini storiche,  magari aggiungendo qualche buon chiodo, e  attrezzando solo la sosta con catenone e due fix in acciaio.
Sulla parete sono presenti alcune vie a più tiri e una cinquantina di mono tiri, uno più bello dell'altro, senza contare il versante nord, che è un mondo a parte. La parete solitamente è presa d'assalto in primavera solo da principianti o da vecchi nostalgici, che si incolonnano sulle numerose vie di quinto grado, mentre una buona quantità di splendide  salite "over 6a" vengono a torto snobbate e dimenticate dai "bighetti" che se non trovano numerosi "sette bi ci", uno in fila all'altro su cui arrancare e fare numeri da circo, non si muovono nemmeno da casa, dimenticandosi quanto piacevole sia arrampicare leggeri, senza patemi, su roccia ben ammanigliata e in un ambiente da favola. Alcune vie che comunque consiglio, a qualcuno che mi chiede ridendo, cosa ci vado a fare su di là, sono: "Spol Pot"6c, "Vittima del nordest"6b+, "Nero e Bianco" 6c, "Un vecchio e un bambino" 6c, "Mastro Marino"7b, "Raul Bovis" 6b, "Chi osa vince"6b+, "Elena"7a, "Spit bianchi" 6c, "Tettomania" 7a+.   Io sinceramente torno a casa soddisfatto e bello stanco, perciò: Buona arrampicata a tutti!!








lunedì 1 aprile 2019

Antelao, Pian del Lenzuol, I ricordi più belli...

 Le montagne che lasciano un segno indelebile sono quelle in cui si vive un'avventura dove l'ambiente sconosciuto e selvaggio impone sul gioco il controllo della natura. Sono esperienze che si vivono su cime e pareti delle nostre Dolomiti nascoste dietro l'angolo, che si intuiscono e si intravedono durante gli spostamenti in auto, ma che si difendono, dalle orde dell'avventura preconfezionata, grazie ai lunghi e impervi avvicinamenti , alla mancanza di strutture per pernottare e alla maestosità di pareti dove pochi uomini posano le mani. In questi luoghi, l'alpinismo ritrova la sua magia, risvegliando i nostri istinti primordiali e facendo dell'arte d'arrangiarsi la nostra più fidata compagna. L'aspetto tecnico, i grandi numeri, l'abbigliamento figo, passano in secondo piano, lasciando spazio a zaini pesanti e ad un futuro pieno d'incognite.
L'arrancare su esili tracce diventa un azzardo, è facile sbagliare e dover ritornare imprecando sui propri passi, ma fa parte del gioco e la fatica può essere  ripagata da un camoscio che poco più avanti ci allieta con i suoi balzi imperiosi. Anche dormire all'addiaccio gratifica la vita, specialmente se sullo sfondo di un falò si proietta l'immagine di un tramonto da fiaba.