sabato 19 ottobre 2019

Schievenin Placche Alte: "Onde che vui vae"

La realizzazione di una via lavorata può dare grandi soddisfazioni, sopratutto perché si raggiunge il limite delle proprie capacità mentali, fisiche e tecniche, anche se in realtà è di per se un'attività assurda, deleteria per la mente, specialmente quando non si riesce a venirne a capo in poco tempo. La giornata storta dove ogni movimento è impacciato e le dita si lamentano anche sulle tacche più grandi, una presa dimenticata sull'ultimo passaggio dopo aver domato un enigma di rugosità, una goccia d'appoggio che salta quando ormai sei fuori, i recuperi che la vecchiaia non ti permette più di saper gestire, la giornata umida, l'abbaglio del sole, il freddo, il caldo, insomma un calvario di situazioni che ti porta in uno stato di apatia in cui non stai godendo e ti chiedi se ha senso arrampicare così.
Penso che la vera arrampicata libera, e forse l'ho sempre pensato, sia muoversi nella roccia in armonia, muovendosi sciolti, con eleganza e senza patemi, cercando sì, le grandi difficoltà, ma riuscendo a domarle con un margine ampio che ti dia l'illusione di poterlo fare anche da slegato. La scalata "a vista", a mio parere, è il più bel modo di salire, è quella che rispecchia realmente le vere capacità di superare una difficoltà e il più delle volte mi gratifica di più un via difficile fatta con margine al primo giro, che un tiro straduro dopo molti su e giù. Mi capita spesso di vedere i nuovi boce seguire una strada a senso unico, riscaldandosi, arrampicando da cani su un 6a, per poi passare subito su  gradi alti, dimenticandosi ancor più cosa voglia dire muoversi sulla roccia e cercando disperatamente di realizzare solo un numero elevato scritto a fianco di un nome. 
Comunque sia, per  la bramosia di fare anch'io un gradetto tosto ogni tanto, con la corda dall'alto la primavera scorsa ho sporadicamente provato i passaggi di una nuova linea che sale fra due meraviglie come "Yoska" e "Il signore del male" sulle Placche Alte a Schievenin.  Nonostante un primo disagio  dettato dalla vicinanza delle due, a metà settembre l'ho attrezzata e quindi poi liberata.
"Onde che vui vae", sale usando delle prese in comune con le altre, ma rimanendo comunque indipendente grazie ad una traccia di spit che la obbligano ad una sequenza personale. Già all'inizio da filo da torcere con dei movimenti ampi che conducono ad un boulder su un monodito per poi concludere su delle tacchette ridicole e a dei movimenti di piede molto aleatori. La bellezza e la varietà dei passaggi, secondo me, la elevano a  una delle meritevoli delle Placche Alte. Il nome della via è già scritto.... mentre per il numero che sarà più o meno come le altre....aspettiamo i boce che avranno voglia di consumarsi le unghie. Un grazie a Robi e Gae...